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La limitazione della procedibilità della domanda nella nuova legge sulla responsabilità medica 8 marzo 2017, n. 24 (cd. legge Gelli-Bianco)

Nuove condizioni di procedibilità della domanda giudiziale di risarcimento del danno da reato a confronto.

La nuova disciplina della responsabilità medica, contenuta nella legge 8 marzo 2017, n. 24 (cd. legge Gelli-Bianco), ha inserito nell’ordinamento una forma innovativa di giurisdizione condizionata, ovverosia un’ipotesi ulteriore di limitazione della procedibilità della domanda giudiziale, subordinata al previo tentativo di composizione stragiudiziale.

In considerazione del carico di arretrato che pende sulla giustizia italiana e dei ritardi che questo comporta nella definizione delle controversie, il legislatore cerca ormai da anni di valorizzare gli strumenti alternativi (più correttamente definibili stragiudiziali) di composizione della lite (c.d. ADR) con la peculiare metodica della “degiurisdizionalizzazione” del processo, imponendo, cioè, dei tentativi pre-processuali finalizzati all’accordo tra le parti. Tali sono la mediazione o la negoziazione assistita.

La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. nella veste di condizione di procedibilità della domanda giudiziale

La legge Gelli-Bianco apporta elementi novativi nel sistema stragiudiziale con finalità deflative prevedendo, oltre alla possibilità di intraprendere il percorso della mediazione di cui al d.lgs. 28/2010, anche l’opportunità di avvalersi della procedura di cui all’art. 696 bis c.p.c., cioè della consulenza tecnica preventiva per il tentativo di composizione concordata della lite.

In buona sostanza il legislatore del 2017 ha voluto inserire nel tanto contestato alveo delle condizioni di procedibilità della domanda anche la previsione dell’art. 696 bis c.p.c. rendendola applicabile alle ipotesi in cui si controverta in tema di responsabilità medica, presumibilmente in ottica deflativa e decongestionante, dovendolo ricondurre nella categoria della c.d. conciliazione delegata.

L’esperimento previo della consulenza tecnica veniva contemplato dal codice già dal 2005, ma la procedura non era mai stata utilizzata come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, se non nelle cause in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e assegno di invalidità, di cui all’art. 445 bis c.p.c., in cui si controverta sulla sussistenza o meno dei requisiti sanitari per la corresponsione dell’emolumento previdenziale o assistenziale, appunto. Una serie di ipotesi queste, che rendono necessario per il Giudicante una consulenza tecnica, che vagli a livello medico legale la sussistenza di requisiti difficilmente accertabili da chi non è tecnico nel settore, che si troverebbe nelle condizioni di non poter decidere a rigore la domanda azionata o il ricorso proposto.

Ma utilizzare il 696 bis c.p.c. come condizione di procedibilità in cause in cui si pretende il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto è altra cosa…

Rappresenta un elemento innovativo di non poco conto e ne deriva una riflessione in termini di sistematicità applicativa delle due condizioni alternative.

La consulenza tecnica preventiva, già nota quale strumento alternativo alla mediazione obbligatoria, viene utilizzata quale rimedio volontario ante causam, finalizzato alla limitazione del sorgere della nuova controversia in tutte le ipotesi in cui la parte riscontri la necessità di accertamenti “in fatto”, per le quali si rende possibile anticipare un incombente istruttorio tecnico idoneo a fornire alle parti elementi utili per transigere la causa.

Anche laddove non si addivenga a tale conciliata composizione, lo strumento de quo è comunque utile alle parti per precostituire una prova, al di fuori del giudizio di merito, prescindendo dal canonico requisito del periculum in mora, data la natura non cautelare del procedimento. Ciò nonostante la parte necessita di fornire elementi idonei a paventare la sussistenza del fumus bonis iuris, cioè la probabile sussistenza del tutelando diritto per cui si agisce.

In tal senso potrà essere soggetta ad un vaglio di ammissibilità, anche se utilizzata quale condizione di procedibilità della domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, sia in base alla sussistenza del requisito del fumus bonis iuris, sia ove venga richiesta la soluzione di questioni giuridiche complesse o che esulino dall’ambito delle indagini di natura tecnica (ad es. quando si controverta su mere questioni giuridiche).

A mero titolo esemplificativo, in tema di responsabilità medica, può essere rigettata la richiesta ex art. 696 bis c.p.c., in tutte le ipotesi in cui si debba esperire un’istruttoria orale, ovvero laddove si rilevi complessità dell’accaduto non solo fattuale, ma anche giuridicamente rilevante, come la ripartizione degli oneri probatori, o la determinazione dei criteri di accertamento del nesso causale, o anche qualora si controverta sull’esatta quantificazione del risarcimento dovuto, attività che non possono essere relegate al c.t.u., ma che necessitano dell’intervento del Giudicante.

È dunque possibile affermare che la neo introdotta c.d.p. della domanda giudiziale anche se correttamente proposta, è suscettibile d’esser dichiarata inammissibile, costringendo il proponente a rivolgere lo sguardo verso l’alternativa procedura di mediazione obbligatoria, nota come la più classica delle condizioni di procedibilità della domanda, ove le parti possono transigere su tutti gli elementi della controversia liberamente, senza limitazione alcuna.

Differenze applicative delle condizioni di procedibilità della domanda di risarcimento danno derivanti da responsabilità medica

Che riscontri ha in termini pratici quest’innovazione?

La risposta dipende dal tipo di percorso che la parte sceglierà di intraprendere assieme al suo legale.

Laddove venisse esperito il tentativo di mediazione di cui all’art. 5, comma 1 bis d.lgs. 28/2010, nulla cambierebbe rispetto all’ormai celebre procedura pre-giudiziale finalizzata alla procedibilità della domanda giudiziale: se il tentativo non dovesse riuscire la domanda giudiziale diviene automaticamente procedibile.

Profili innovativi si riscontrerebbero, invece, se la parte decidesse di percorrere il nuovo sentiero della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., se non altro perché residua in capo al giudice la possibilità di rigettare ab origine l’istanza, reputandola poco opportuna o funzionale, costringendo dunque la parte attivante ad esperire, in quanto alternativamente previsto, il tentativo di mediazione della controversia, duplicando così tempi e modi per la successiva proposizione della domanda giudiziale.

La fase de qua, inoltre, si presenta come giudiziale e non stragiudiziale, incardinata dunque nelle logiche di formalismo cui sono subordinati i processi e dei non contenuti costi che notoriamente li inficiano, estromettendo dalla valutazione la voluntas delle parti ed il naturale avvicinamento.

Fornisce, anzi, elementi tecnici ulteriori a sostegno o meno delle richieste formulate in sede di citazione dando la possibilità alle parti di valutare, in base alla relazione del consulente, la convenienza della soluzione concordata rispetto a quella giudiziale, rinchiudendo la valutazione in termini di mero opportunismo. È fatto noto, infatti, che i giudici tendono ad armonizzare le decisioni alle risultanti delle consulenze tecniche, che dunque hanno un valore in qualche modo anticipatorio della decisione finale – benché in teoria il Giudice possa sempre discostarsi (sia pur motivandone la decisione) dalle conclusioni peritali, essendo egli peritus peritorum.

Quest’ultimo, si noti bene, sarà anche onerato della fase della consulenza tecnica, che in quanto giudiziale sebbene pre-processuale, graverà comunque sui Tribunali…

È dunque un alleggerimento del contenzioso fittizio quello che si profila con l’applicazione dell’art. 8 della legge Gelli Bianco…

Differenze pratiche e valutazioni prognostiche

L’esperimento della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in luogo della mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1 bis d.lgs. 28/2010, si paventa dunque come fase pre-processuale sicuramente più dispendiosa (gli oneri del CTP restano infatti a carico della parte che lo nomina) delle tradizionali c.d.p., ma in grado di fornire elementi tecnici certi ed ulteriori per la valutazione della convenienza delle trattative.

È in grado di fornire alle parti elementi certi e, in un certo qual modo determinanti, per la risoluzione o prosecuzione della controversia ed è utile, inoltre, per la preventiva formazione di prove da utilizzarvi.

L’avvicinamento della posizione delle parti, in questa ipotesi però, non sarà genuino, spontaneo, come quello che faticosamente si cerca di ottenere in sede di mediazione e negoziazione, ma verrà pilotato da logiche di opportunità della soluzione concordata in luogo della prosecuzione della controversia e si controverterà non più su ogni elemento utile sebbene estraneo alla soluzione concordata, ma ci si dovrà attenere a meri profili tecnico – sanitari.

D’altra parte è bene tener presente che se si intraprende la trattativa in mediazione, nella maggior parte dei casi non si addiverrà ad un esito fausto; infatti è ormai celeberrima l’usanza delle strutture ospedaliere di non aderire al tavolo delle trattative. Stesso discorso vale per le compagnie assicurative (si noti che la polizza assicurativa è richiesta obbligatoriamente dalla Legge Gelli-Bianco a tutte le strutture ospedaliere, con copertura anche dei 10 anni pregressi alla stipula), note per la loro nonchalance nel sottrarsi a trattative, accordi o similari.

Di fatto al tavolo di mediazione obbligatoria si siede il solo attore che assieme al mediatore compila il verbale negativo di primo incontro …

In questo senso l’esperimento della consulenza tecnica preventiva come tentativo di conciliazione delle parti potrebbe risultare maggiormente idonea ed utile al conseguimento del risultato, se non altro perché a chiosa della mediazione l’attore si troverebbe con nulla in mano, mentre dopo la procedura ex art. 696 bis c.p.c., se anche non si conciliasse la controversia, perlomeno si è ottenuto un elemento istruttorio utile alla definizione della stessa.

Conclusioni

Orbene nella migliore delle ipotesi, le parti troveranno una soluzione concordata alla controversia alleggerendo sì il carico del contenzioso civile, ma non ricomponendo la frattura creata dalla lite, che resterà nel tessuto sociale interessato, senza margine ulteriore di componimento. È doveroso constatare, pertanto, che se da una parte il legislatore ha trovato una soluzione tecnica presumibilmente più efficace in prospettiva d’alleggerimento del carico di contenzioso civile, dall’altra la consulenza tecnica come condizione di procedibilità della domanda non riflette le ottiche compositivo-conciliative tradizionali, che sono state poste alla base delle metodiche professionali dei mediatori e, più in generale, di tutti coloro i quelli hanno dovuto utilizzare gli strumenti stragiudiziali finora conosciuti dal nostro ordinamento, i quali tendono a valorizzare le posizioni giuridiche soggettive delle parti interessati e contemplare ogni fattore utile alla soluzione concordata della controversia.

La scelta della strada da intraprendere per la proposizione di un efficace strumento conciliativo preprocessuale, finalizzato anche e non solo alla procedibilità della domanda giudiziale del risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, dipenderà da una valutazione soggettivistica del caso di specie, e delle sue specifiche peculiarità, che dovranno essere accuratamente vagliate assieme al proprio legale di fiducia.